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TEMPO LIBERO DALL’UTILE

TEMPO LIBERO DALL’UTILE

L’estate è tempo di vacanze e di leggerezza e allora mi permetto il lusso di riflessioni sulla scuola dalla giusta distanza. 

Inizio quasi per gioco con il chiedermi quale sia l’etimologia del termine “scuola”. Leggo sul sito Treccani: “Termine derivante dal latino schŏla (dal greco scholé), che in origine significava (come otium per i latini) tempo libero, piacevole uso delle proprie disposizioni intellettuali, indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico, e più tardi il luogo dove si attende allo studio, accezione quest’ultima nella quale è tuttora in uso.”.

Scopro con sorpresa la bellezza di una parola: un tempo e uno spazio liberi dall’utile dedicati allo sviluppo dei propri interessi e delle proprie aspirazioni. Mi piace l’espressione “tempo libero” e mi fa un po’ sorridere perché oggi nessuno assocerebbe l’idea del tempo libero alla scuola. Nel tempo libero si va al cinema, si esce con gli amici, si ascolta musica, si fa sport, si leggono romanzi, non si studia. Lo studio è il tempo della fatica finalizzato allo “scopo pratico” della formazione al futuro lavoro.

A ben guardare forse l’originario senso della parola non è mai stato realizzato.

Sin dall’antichità e fino a non molti decenni fa la scuola era destinata a chi poteva permettersi un tempo libero perché non costretto a guadagnarsi il pane. Oggi la scuola è giustamente diventata un diritto per tutti. Ma sia nella scuola di élite del passato che nella scuola per tutti non si realizza “il piacevole uso delle proprie disposizioni intellettuali, indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico”. 

Nei secoli lontani l’istruzione era monopolio del potere religioso che, spesso alleato a quello politico, ha sempre tenuto ben strette le briglie della formazione. Ne è emblema il controllo sui testi, che si fa particolarmente rigido con l’invenzione della stampa, tanto da portare la Chiesa all’istituzione dell’Indice.

Unica eccezione sembra essere stata la Grecia antica nella quale nasce la democrazia e una di formazione apparentemente liberale. Ma la pederastia associata alla paideia è lo specchio di una negazione ancor più greve della libertà di sviluppo della propria identità.

Non voglio qui affrontare la storia dell’istruzione, anche se sarebbe una ricerca interessante, penso semplicemente che la scuola, così come delineata dalla sua etimologia, non è mai stata realizzata e non lo è ancora oggi. 

L’articolo 33 della nostra Costituzione afferma che“l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. È un bellissimo articolo, ma cosa accade nella realtà? Qual è il vero scopo della formazione promosso dallo Stato?

Purtroppo la nostra scuola non è affatto libera e non sembra mirare a sviluppare personali disposizioni intellettuali lontane da scopi pratici. L’introduzione dell’Alternanza scuola lavoro, trasformata nell’addolcente acronimo PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento), è la spia più evidente di quale sia effettivamente il fine dell’istruzione: formare futuri lavoratori capaci di passare da un ‘attività all’altra senza troppi ostacoli. La scuola deve fornire forze pronte ad affrontare, con tutti gli strumenti necessari, un mercato del lavoro sempre più instabile e precario. È la logica della scuola-azienda!

La scuola è un’istituzione dello Stato e come tale non può che essere espressione della politica di quel determinato Stato. Se la politica non riconosce l’importanza del libero sviluppo, senza scopi pratici, dell’identità di ogni essere umano non potrà mai promuovere  una vera formazione umana. 

Lungi da me qualsiasi idea di privatizzazione dell’istruzione! Resto fermamente convinta della necessità di una scuola pubblica, gratuita e aperta a tutti, ma penso che, perché la formazione possa essere veramente valida, dovremmo costruire una società e uno Stato che riconoscano l’importanza della realizzazione di ogni essere umano. 

Per questo va affrontato un altro aspetto problematico legato ai termini “libertà di insegnamento”. Siamo sicuri che la libertà sia l’elemento più importante dell’insegnamento? Forse la libertà è raggiungibile soltanto quando si realizza pienamente la propria identità umana. Se un insegnante pensa che gli studenti siano vasi da riempire, se pensa che la loro identità nasca da quel che egli metterà dentro quei vasi, non potrà mai vedere e sviluppare le loro “disposizioni intellettuali”. Quale libertà possiamo concederci noi insegnanti se prima non abbiamo ben chiara la realtà umana di chi abbiamo di fronte? Se gli esseri umani sono visti come ingranaggi di un meccanismo che deve perpetuare se stesso, non sarà mai raggiungibile una vera libertà ma soltanto un simulacro di essa.

La scuola, come tutte le istituzioni, si identifica con la figura del padre che disegna, a volte anche in buona fede, il futuro del figlio e non sa rinunciare alla sua autorità e al suo potere per farsi da parte e diventare fratello del figlio lasciandolo libero di costruirsi la propria vita. L’istituzione non può permettere una trasformazione che metterebbe fine al suo potere di controllo.

E allora, cosa possiamo fare dentro questo angusto spazio, unico senso rimasto dell’etimologia della bella parola scuola?

Forse le ragazze e i ragazzi che frequentano le nostre aule non sono pienamente consapevoli di questo stato di cose, ma certamente il loro vivere la scuola come un’imposizione e non come un “tempo libero” in cui sviluppare le proprie aspirazioni è il segnale di una profonda intuizione. 

Come fare perché l’intuizione forse inconsapevole si trasformi in un’alleanza nella ricerca di una reale libertà che contenga in sé la realizzazione dell’identità umana? Dovremmo mettere in moto una rivoluzione dolce che parta dalle nostre aule, costruendo rapporti reali, al di là dei ruoli costituiti, in cui mettere in gioco prima di tutto noi stessi, mostrando con coerenza alle ragazze e ai ragazzi quel che siamo prima ancora di quel che sappiamo. 

Come la bella lettera di Angela comparsa su questo blog ha suggerito, dovremmo metterci al fianco degli studenti per accompagnarli verso un futuro che dovranno poi costruire da soli, diverso da quello che qualsiasi padre ha già preordinato per loro. Dovremmo accompagnarli finché è necessaria la nostra guida per  permettergli di aprire bene gli occhi e poi lasciarli proseguire da soli nella propria ricerca, saldi sulle proprie gambe. Dovremmo dir loro che gli spetta il compito difficile ma affascinante di costruire il futuro lottando contro gli inganni del presente. 

Dovremmo spingerli alla costruzione dell’utopia, quel non luogo che sarà il tempo della loro vita.

Mariantonietta Rufini

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