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“N0N HA VOGLIA DI STUDIARE!”

“N0N HA VOGLIA DI STUDIARE!”
Andiamo a prenderli lì dove sono

Si è appena concluso un anno scolastico difficile, fatto di distanze fisiche, tempi frammentati, ore infinite passate davanti al computer. Difficile per me che sono un’insegnante, ma soprattutto per loro, ragazze e ragazzi che hanno dovuto fare i conti con un modo diverso di vivere la scuola e la propria vita.

È arrivato il fatidico momento degli scrutini e, come tutti gli anni, ho dovuto ascoltare parole che vorrei non sentire più: ‘Non ha voglia di studiare!’ 

Ma perché un ragazzo non studia? Quali sono le cause della perdita dell’interesse per il mondo che c’è dietro quella ‘mancanza di motivazione’ scritta su tante relazioni scolastiche? È un’affermazione che mi fa male, mi fa sentire tutta l’impotenza della scuola di fronte alla vita di un adolescente che dovrebbe essere piena di voglia di scoprire e che invece ha tirato i remi in barca. 

Anch’io ho avuto quest’anno studenti che non hanno trovato la voglia di studiare, non sono stati per questo allegri e felici. Qualcuno ha vissuto nel silenzio e in solitudine questo strano periodo, qualcun altro è stato un po’ arrogante e provocatorio, magari ascoltando musica o passando il tempo con qualche gioco online durante la DAD. Ma tutti quelli che non hanno trovato la voglia di studiare avevano negli occhi una sofferenza, campanello d’allarme di qualcosa che è andato perduto. Mi chiedo dove siano finiti quegli a volte assillanti ‘perché’ del piccolo bambino curioso di tutto.

La scuola dovrebbe avere la funzione, in quanto istituzione della Repubblica, di mettere in atto quel bellissimo Articolo 3 della Costituzione che promette “di rimuovere gli ostacoli .. che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”. Ma quale eguaglianza e quale libertà promuove una scuola che si limita ad affermare, di fronte a uno studente in difficoltà, che ‘non ha voglia di studiare’?

Non si tratta dell’antipatia per una materia o per l’altra, delle difficoltà di alcuni in matematica o in inglese, per quanto anche in questi casi penso che la curiosità possa essere stimolata. Chi non ha voglia di studiare, non studia e basta. Non trova un senso nei pensieri che ascolta e che si snodano sotto i suoi occhi dalle pagine di un libro. Ha perso il desiderio di conoscere. 

Quella perdita è il sintomo di una perdita più grande e devastante: la scomparsa della fiducia negli altri, della speranza che qualcuno possa rispondere a quei ‘perché’ che nascevano spontanei, la rinuncia al desiderio di rapporti fatti di interesse e d’amore. Una perdita che ha radici fuori e forse prima della scuola, ma che la scuola dovrebbe avere il compito di riparare.

E cosa fa la scuola? Di fronte a una studentessa in seria difficoltà ho sentito colleghi affermare, in vista di un’interrogazione finale, “facciamole domande in modo che vada male”! Un anziano e stimato collega dichiara tranquillamente, senza suscitare reazioni da parte del collegio docenti, che durante le lezioni non c’è tempo per l’ascolto! 

Forse alcuni insegnanti hanno smarrito il senso della propria professione…”rimuovere gli ostacoli…”. Non è un compito facile e certamente la scuola non può farcela da sola, dovrebbe essere sostenuta da una politica bella che finalmente applichi quel bellissimo articolo 3 dando il tempo e le risorse necessarie e costruendo intorno alla scuola una rete di figure – psicologi, assistenti sociali, associazioni – che collaborino alla rimozione degli “ostacoli che impediscono la piena realizzazione della persona”.

Ma le politiche degli ultimi decenni hanno pensato bene di ridurre le risorse necessarie per dare una risposte a chi non ha, per sua sfortuna, un background che gli permetta di affrontare l’impegno scolastico, quella “esperienza personale, preparazione tecnica o culturale, e quanto altro (ambiente di provenienza, tradizioni, condizioni, circostanze) concorre alla formazione di una persona”. 

Ambiente di provenienza, tradizioni, condizioni, circostanze. Parole messe tra parentesi  nel vocabolario Treccani, ma che sono il nodo del problema perché contengono la realtà che gli adolescenti portano in classe e che dovremmo tenere ben presente riconoscendo onestamente le nostre carenze, invece di liquidare il problema con la stessa affermazione di un insegnante di cento anni fa. 

Ci sono poi gli insegnanti ‘buoni’ per i quali una sufficienza non si nega a nessuno. Sono gli eredi del ‘sei politico’ che ormai di politico non ha più niente perché non è più sostenuto da un impegno che pretenda una seria trasformazione del sistema dell’istruzione. È un messaggio che lascia la consapevolezza di non essersi guadagnati quel sei, di non essersi arricchiti attraverso l’esperienza scolastica. Quel sei regalato senza alcun impegno non fa che accrescere il senso di impotenza e inadeguatezza, ma anche la delusione nei confronti di chi avrebbe dovuto dare gli strumenti per quell’arricchimento e non lo ha fatto.

Sono due facce della stessa medaglia nella quale è assente una visione reale e profonda delle esigenze degli studenti.

Questo è stato per me un anno importante, mi ha dato il tempo di riflettere sul mare di contraddizioni in cui è immersa la scuola e nel quale ho cercato di nuotare mettendo da parte l’ansia per quelle pagine del libro non aperte, per trovare il tempo dell’ascolto e di qualche risposta, quando l’ho trovata.

È vero, tutti si sono impegnati per fare in modo che la scuola continuasse a esistere, ma forse questo impegno non ha portato a una sincera riflessione sulle pecche di un sistema che non riesce a garantire quelle pari opportunità che dovrebbe dare. 

La DAD ha significato, per chi non aveva un background adeguato, in termini di risorse materiali e per condizioni personali, una grave perdita. Provate a seguire sette ore di lezione sullo schermo del cellulare! Alcuni studenti lo hanno fatto perché era l’unico mezzo che avevano. Alcuni hanno perso giorni di lezioni perché non possedevano un computer, e il cellulare, che ormai hanno tutti, non aveva abbastanza giga per permettere una connessione stabile. La scuola ha provveduto fin dove possibile a fornire device, ma chi non ha potuto stare al passo con gli altri non ha certamente incrementato la propria motivazione.

A questo vanno aggiunti in alcuni casi rapporti familiari complessi e soffocanti, non facili da sostenere. 

Chi ha continuato a seguire senza perdere colpi sono stati ‘i bravi’, quelli che non richiedevano da parte nostra un grande sforzo. Davanti a chi non ha trovato la voglia di studiare dovremmo fermarci e chiederci se il fallimento non sia stato della scuola. 

L’analisi da fare è ancora lunga e troveremo il modo di approfondirla, per ora concludo con le parole di un insegnante appassionato: 

“Dobbiamo andare a prenderli lì dove sono e metterli in moto spingendo sul gusto dell’imparare – anche ‘perdendo tempo’ -, sulla bellezza del sapere disinteressato – il più rivoluzionario di tutti -, sull’emozione della scoperta dei propri talenti.” (Giuseppe Bagni e Rosalba Conserva, Insegnare a chi non vuole imparare, L’asino d’oro edizioni 2015, p.80)

Dobbiamo andare a prenderli lì dove sono, non possiamo rimanere seduti dietro una cattedra aspettando che siano loro a venire da noi. Dobbiamo perdere tempo. A volte bisogna camminare molto per trovarli. Ma per insegnare è necessario essere grandi maratoneti

Mariantonietta Rufini

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