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MANCA IL MOVENTE

MANCA IL MOVENTE

“Manca il movente”. Ognuno di noi nel corso della sua vita ha sentito giornali e telegiornali pronunciare questa frase riferendosi a delitti spesso molto efferati.

Nella mente delle persone sembra che esistano degli omicidi “comprensibili” motivati da potere, denaro o vendetta e un altro tipo di violenza, inspiegabile, incomprensibile, che ci lascia attoniti e storditi. Spesso sono proprio questi delitti ad attirare di più l’attenzione dei lettori e degli spettatori. Come se, facendo molta attenzione e studiando tutti i fatti, alla fine una spiegazione si possa trovare e quando questo non avviene allora i giornalisti ricorrono a quella parola inutile e oserei dire anche dannosa che è: “raptus”. E così la tranquillità di tutti è ristabilita: nessuno è riuscito a dare una spiegazione perché la spiegazione non c’è. È la natura umana che è cattiva e ad ognuno di noi può capitare un momento di follia e uccidere qualcuno. Tesi confermata spesso da conoscenti e vicini di casa che dicono: “sembrava tanto una brava persona, sempre così tranquillo”.

Ma è veramente così? Esistono veramente i raptus? E soprattutto, è veramente impossibile capire questi delitti apparentemente immotivati?

Partiamo dal principio: cos’è un movente? Ogni persona che abbia visto almeno una volta nella vita un film giallo sa rispondere, ma in criminologia il movente è lo stimolo che spinge ad agire, il pensiero (cosciente o non cosciente) che sta dietro ad un comportamento delittuoso.

Si potrebbe pensare che per scoprire questo pensiero nascosto serva una confessione del reo oppure una deduzione logica a partire dai fatti. Ma ciò ci porterebbe a scoprire solo i moventi coscienti e razionali appunto: soldi, potere, vendetta, gelosia.

Esiste un’intera branca della psicologia (la psicologia investigativa) che si occupa proprio di indagare le motivazioni più profonde, più nascoste. Non lo fa a partire dal colloquio con chi ha commesso il fatto, ma dalla scena del crimine. In molti casi l’assassino è ancora ignoto e lo psicologo forense deve dedurre la realtà psichica di questo soggetto a partire da come si è comportato al momento del delitto. È stato disordinato e scomposto o al contrario molto meticoloso? Ha lasciato segni evidenti di sé? Ha posizionato il corpo in posa? Ha compiuto l’atto e poi messo a soqquadro la stanza come messa in scena? Queste sono solo alcune delle domande che servono ad arrivare alla personalità dell’assassino.

Ma allora, se esiste addirittura una professione che dal comportamento ricerca le caratteristiche psichiche di una persona, perché dobbiamo ricorrere al raptus per spiegarci quei delitti che appaiono senza movente? Perché non possiamo dire che esiste la malattia mentale e che talvolta, se non curata, può portare a conseguenze molto gravi per il malato e per gli altri?

Dovremmo cominciare ad ammettere la possibilità che nella mente delle persone non ci sia solo la razionalità, ma anche tutto un mondo di emozioni, pensieri, sensazioni che si possono ammalare e quando questo avviene in modo molto grave si può arrivare a fare ciò che si chiama percezione delirante: vedo qualcuno e immediatamente so che quella persona è…il demonio. Allora lo devo eliminare per salvare me e la mia famiglia. Questo è solo un esempio, ma purtroppo per arrivare a commettere un fatto grave come un delitto oppure una violenza su un minore o una violenza sessuale basta anche perdere a tal punto la propria umanità che non si considera più l’altro come un essere umano. E dopo quest’ultima frase mi chiedo: ma siamo sicuri allora che i delitti con un movente classico e razionale li abbiamo veramente compresi?

Gioia Piazzi

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Foto scattata da: Cottonbro
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