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SAPERE ASPETTARE

SAPERE ASPETTARE
Caro Papillon,
ho letto da qualche parte che la vita ha perlomeno due versi, si vive guardando avanti ma si capisce guardando indietro.
Tempo fa una persona, non una qualunque, uno di quegli incontri capaci di dividere il tempo, di separare il prima dal poi, mi ha detto (vabbè me lo ha scritto, ma tanto la voce la sentivo lo stesso) “Saper aspettare..”
Già, e come si impara mi veniva da chiedergli, ma siccome sono testardo ho provato a fare da me, che tanto un po’ lo sapevo cosa mi avrebbe risposto.
Vedi te, più o meno.
Ed é provandoci che ho capito che non ne ero tanto capace, ma che almeno ero in ottima compagnia, tutti che vogliono tutto, subito, adesso.
E del tempo che passi ad aspettare cosa ne fai, cosa ne resta?
Ma che vuoi stare sempre a capire tutto, mi sono detto.
Campa.
Tollerare l’attesa, l’incertezza, le domande che sembrano tutte senza risposta, e le risposte di cui nessuna ti pare azzeccata, di questo e di altro forse è fatta l’adolescenza.
Di impeto a vivere, di corse senza bersaglio, di assalti di fame e di sete, di notti che si fanno mattine e di calci nel sangue, quando incontri qualcuno di cui ti innamori ma che non ti ricambia, o che ami e che poi ti delude, o da cui semplicemente (si fa per dire) poi ti separi.
Però separarsi non é sempre lasciarsi, anzi a volte é vedersi, perfino conoscersi.
Meglio.
Più a fondo.
Però certo che fa anche tristezza, che gli occhi si riempiono e lo sguardo si appanna, che i capillari scoppiano e le palpebre graffiano e insomma si, é un po’ come nuotare senza occhialini.
Non ci vedi granché ma continui comunque a cercare l’acqua, non fosse altro perché sai che sta lì.
Proprio di fronte a te.
Sapere, aspettare, due parole nate insieme, forse.
Parole gemelle, quindi.
Ogni tanto parlando con dei colleghi li sento dire che gli adolescenti non sanno ancora chi sono, che non essendo più piccoli, ma nemmeno grandi, vivono costantemente nell’incertezza.
Penso che abbiano in parte ragione, però perché definire qualcuno per come non è?
E se invece fossero tutti e due?
E se l’impiccio fosse proprio quello, separare il bambino dall’adulto, lasciargli la mano senza rischiare di perderlo?
Senza farlo andar via.
Senza farlo sparire.
Il fatto é che il corpo fa prima, in pochi mesi zac, peli, centimetri, forme, sudore ma quella è, per così dire, natura, corredo genetico e DNA, mentre la mente la fanno i rapporti, gli amori e a volte le delusioni.
Una lunghezza senza larghezza.
La linea del tempo.
Insomma può sembrare che in quegli anni lunghissimi il tempo e la vita a volte viaggino scombinati, uno su un marciapiede una sull’altro, però mi sento di dire che è un impressione, anch’essa da tollerare, un po’ come succede con certe scene dei film che ti fanno paura, che magari ti copri gli occhi, ma non puoi comunque smettere di guardare.
E allora che fai?
Quello che posso, allargo le dita.
Insomma quello che non dovrebbe mai mancar loro diventa invece la merce più rara, quelle conferme che si ostinano comunque a continuare a cercare, perché sono così.
Testardi e orgogliosi, pretendono di avere ragione, e tutte le guerre e le ingiustizie del mondo non potranno mai riuscire a fargli cambiare idea, perché ti piantano gli occhi in faccia.
Vedi che prima o poi qualcuno lo trovo.
Ed è li che le mani ti sudano, e che pensi a quando avevi la loro età ed eri caduto col motorino, e che per proteggerti erano state proprio le mani a toccare terra per prime, e che quelle ferite ancora te le ricordi perché non sapevi mai come trattarle, se stringere i palmi per proteggerle, e allora ti facevano ancora più male, oppure tenerle aperte, ma così la pelle tirava e riprendevano a sanguinare, ed è così che hai scoperto che certe cose sono come il dolore, le devi proteggere, ma a un certo punto devi aprirti per permettergli di poter andar via, così che diventino altro.
Che tu, diventi un altro.
E ho letto caro Papillon, sempre da qualche parte, che il rimedio e la cura per tutto sarebbe l’acqua salata:
Il sudore.
Le lacrime.
Il mare.
Non so se può essere davvero abbastanza, però a metà di questa caldissima torrida estate, ora che le prime gocce di pioggia sono cadute e l’aria ha cambiato profumo,
è verso la fine di questa lettera che forse riesco a capire cosa vuol dire sapere aspettare.
Sapere che l’altro c’è.
Aspettare di poterlo incontrare.
Marco Randisi
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Foto scattata da: Neosiam
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